Carissimi,
abbiamo vissuto questa settimana di Pasqua come il “grande giorno”.
E’ bello che la Chiesa ogni anno viva questo prolungarsi della gioia pasquale per otto giorni, come un solo giorno, perché ci fa così intravedere e pregustare “il giorno senza tramonto”, l’ottavo giorno, quando ci sarà donata la gioia senza fine, quella di poter raggiungere in Dio la pienezza della vita, che nel battesimo ci è data in germe.
La liturgia di oggi si apre con l’invito ad “entrare nella gioia e nella gloria”, rendendo grazie a Dio che ci ha chiamato al regno dei cieli; la “colletta” ci fa chiedere un arricchimento del dono già ricevuto aprendoci alla comprensione dell’inestimabile ricchezza del Battesimo che ci ha purificati, dello Spirito che ci ha rigenerati, del Sangue che ci ha redenti.
All’inizio del cammino battesimale della Quaresima abbiamo chiesto al Padre di “crescere nella conoscenza del Mistero di Cristo” (cfr. colletta 1^ domenica di Quaresima); ora mentre muoviamo i primi passi da risorti con Cristo, come “bambini appena nati”, chiediamo di comprendere l’inestimabile ricchezza del Mistero in cui la Pasqua ci ha immerso: l’Amore Miseri-cordioso del Padre che in Cristo ci porta tutti nel Suo Cuore, quel Cuore capace di accogliere tutte le miserie di noi “miseri”.
La Chiesa, a ragione, chiama questa seconda domenica di Pasqua “domenica della Divina Misericordia”. L’amore del Padre che Gesù, dopo la crocifissione, viene a mostrare da Risorto.
Gesù sta in mezzo ai suoi discepoli pieni di paura e di timore e dona loro pace, “pace a voi”, mostrando le ferite delle mani e del suo fianco; questo incontro semplice, ma straordinario ed inaspettato, fa gioire i discepoli al vedere il Signore.
La tristezza e la paura, nata dall’oscurità della tomba che lo aveva sottratto al loro sguardo, si trasforma in gioia per la sua “nuova” presenza in mezzo a loro.
Il Risorto è la forza e la gioia dei suoi discepoli, della sua Chiesa.
Lo Spirito Santo, dono di Gesù Risorto, rende i discepoli annunciatori della Misericordia del Padre che ci rappacifica lavando i nostri peccati nel Sangue del Suo Figlio Gesù.
Il segno dei chiodi e la ferita del costato, che Tommaso ha voluto vedere e toccare, sono l’annuncio e la prova della risurrezione. I segni della sofferenza non sono scomparsi, sono stati trasformati, sono i segni dell’amore.
Il Risorto non nasconde le ferite della Passione ed il segno dei chiodi, non sono umiliazioni e vergogne, ma trofei: ”per le sue piaghe noi siamo guariti” (Is.53,5).
La Chiesa non nasconde le ferite che scaturiscono dalla nostra miseria, è ancora Lui Gesù, che le porta e le presenta al Padre per chiedere il perdono e la Sua Misericordia per tutti noi.
Le profonde ferite, che segnano la storia di sofferenza dell’umanità di ogni tempo, trovano, nelle ferite del Crocifisso, la “speranza” che nel Risorto” vengono redente e trasformate in vittoria della vita sulla morte, del bene sul male, dell’Amore sul peccato.
E’ questa “certezza-speranza” che riempie il cuore del credente anche in presenza delle prove e delle afflizioni.
L’Apostolo Pietro ce ne dà conferma oggi nella sua lettera alla comunità cristiana: “Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinchè la vostra fede, messa alla prova, … torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la meta della vostra fede: la salvezza delle anime” (1Pt. 1, 6-9).
Sappiamo bene che l’amore cresce nella prova;
la sofferenza alimenta la condivisione;
le difficoltà ci rendono forti e capaci di recuperare nuove energie;
la privazione ci fa apprezzare quanto, nell’ordinario della vita, ci viene donato con larghezza.
La condizione che stiamo vivendo ci dice che questo è tempo di prova della nostra fede e della nostra comunione fraterna; è il tempo che ci fa riscoprire l’inestimabile ricchezza di poter vivere insieme l’esperienza della Pasqua nell’essere assidui, come la prima comunità di Gerusalemme, nell’ascolto della Parola di Dio, nella comunione fraterna, nello “spezzare il pane”, non solo virtualmente, come i mezzi di comunicazione ci hanno egregiamente permesso in questo periodo, ma, nel “frequentare insieme” il Tempio con gioia e semplicità di cuore, lodando Dio e servendo i nostri fratelli.
Chiediamo al Signore il dono di poter tornare, a tempo opportuno e con la prudente responsabilità che le situazioni di oggi richiedono, a gustare tutto questo con la gioia di un cuore nuovo e di uno spirito nuovo.